Redick chi è l'allenatore esordiente dei Lakers: il rapporto con LeBron James (2024)

diFlavio Vanetti

Jonathan «J.J.» Redick sostituisce Darvin Ham, «silurato» da LeBron James. Non ha mai allenato, ma ha firmato un quadriennale con la franchigia di Los Angeles e subito convinto il«Prescelto» a rimanere (e arriverà Bronny?)

I Los Angeles Lakers hanno scelto l’allenatore con cui rimpiazzare il silurato Darvin Ham: è J.J. Redick, 40 anni in arrivo il 24 giugno, ex grande tiratore che, dal 2005 al 2021, ha servito 6 squadre della Nba, ovvero Orlando, Milwaukee, Los Angeles Clippers (dunque cugini e rivali nella metropoli californiana della formazione che si accinge a guidare), Philadelphia, New Orleans e Dallas.

Elementi distintivi? Mano molto calda (12.028 punti in carriera) e zero esperienza di coaching a qualsiasi livello. In poche parole: una bella scommessa, siamo di fronte a un debuttante «primo sale». Ma tra le caratteristiche del neo-assunto— contratto quadriennale da circa 8 milioni di dollari a stagione— ce n’è una specifica relativa ai Lakers: ha perfettamente capito come gira il fumo da quelle parti e che nella franchigia non si muove foglia che LeBron James non voglia.

Quindi assieme a lui ha inaugurato un seguitissimo podcast e soprattutto ha convinto il Prescelto nei pour parler dietro le quinte. Si dice tra l’altro che LBJ sia stato stregato. Redick è brillante, elegante e «smart»: sono già fioccati i paragoni con il Pat Riley dello showtime. Ha pure una parlantina sciolta: tra l’altro si è rivelato molto efficace nei commenti televisivi per Espn. Dal canto suo The King, con un allenatore che gli va a genio, deciderà con maggiore facilità la sua permanenza nella squadra, non esercitando l’opzione di uscita prevista per l’ultima annualità del contratto. Non solo: tra LBJ e Redick ci sarebbe un tacito accordo per fare sì che nel prossimo Draft Nba (notte tra il 27 e 28 giugno) i Lakers selezionino Bronny, l’adorato figlio che al campione piacerebbe avere a fianco nelle ultime fasi della carriera.

Una delle indiscrezioni che gira è poi quella che l’accordo con l’ex giocatore sia stato definito già da settimane e che sia stato tenuto sotto copertura, per depistare e per non dare una cattiva immagine, quella appunto di un LeBron satrapo che impone i suoi diktat (per quanto funzioni probabilmente così). In questo piano rientrerebbe addirittura la sontuosa offerta— 6 anni e 70 milioni— che Rob Pelinka, manager dei Lakers, ha fatto a Dan Hurley per convincerlo a lasciare UConn, l’università statale del Connecticut che ha vinto il titolo Ncaa negli ultimi due anni. La rinuncia (sorprendente) di Hurley farebbe insomma parte di un piano per mascherare le vere intenzioni della Los Angeles gialloviola. Hurley avrebbe avuto pure il suo tornaconto per il disturbo, perché, guarda caso, ha poi battuto cassa agli Huskies (dopo aver spiegato la decisione come un moto del cuore) e ha firmato un rinnovo faraonico.

Tutti questi giochini e queste verità, o mezze verità, non impediscono comunque una riflessione: per allenare i Lakers un tempo ci sarebbe stata la fila e magari qualcuno avrebbe accettato di farlo per pochi soldi (si fa per dire). Invece oggi i «no grazie» sembrano sprecarsi e chi viene contattato si scansa. La panchina della seconda squadra più vittoriosa della storia (i Celtics con il titolo numero 18 si sono appena sganciati dalla co-abitazione) magari attrae sempre, ma, poi, mettendo a fuoco un po’ di cose, rischia di essere una porta che conduce all’inferno. In questo la vicenda dei Lakers ricorda quella del Bayern Monaco di calcio, dove il casting per sostituire Thomas Tuchel è stato lungo e laborioso (pure in questo caso con vari rifiuti) e alla fine ha portato alla scelta di Vincent Kompany. Reduce però da una retrocessione con il Burnley nella Premier League. Quali le ragioni di tante difficoltà? Le aspettative sempre altissime e una certa emotività della società, apparsa poco lungimirante.

Pure ai Lakers c’è l’ansia da prestazione, oltre alla necessità di non avere screzi con LeBron. L’«ambientino» non facile si sposa infine alle valutazioni sulla squadra: i Lakers di oggi sono— a parte LBJ e Davis— davvero… da Lakers? Charles Barkley, uno che non ha peli sulla lingua, non l’ha toccata piano: «Hanno cacciato Vogel e Ham, due buoni allenatori, ma la verità è che la squadra fa schifo».

Vediamo allora che cosa combinerà J.J. Redick, aspirante nuovo Pat Riley. Alla peggio farà la fine di Monty Williams, appena licenziato dai Detroit Pistons (dove aveva voluto Simone Fontecchio) dopo appena un anno e con un contratto da 78,5 milioni per sei stagioni. Percepirà 65 milioni da qui al 2029 per non fare nulla: di sicuro non è quello che auspicava, però il conto corrente ringrazia.

21 giugno 2024

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